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Baker Street (down on Memory Lane)

Questo articolo dico già che sarà disponibile (e obbligatorio!) anche in inglese per i miei students, che sono quindi pregati di aprirlo  ➡️ da qui!

Allora, perché Baker Street?

Perché stamani, mentre cercavo mentalmente un valido motivo per girarmi Londra in pace settimana prossima quando ci andrò col team e coi ragazzi, un ago che si rivolta nel pagliaio (Londra è immensa e alla fine si tratterà di sguinzagliarci per i soliti luoghi globalizzati fatti di shopping selvaggio o cibo spazzatura . . . che personalmente, anche meno), mi son messa alla ricerca di un buon motivo che potesse trasformarsi in una possibile interesting destination. Dato che il mio turno finirà alle 3 pm e avrò tempo da spendere ad libitum.

E mentre ero lì che ci pensavo, ecco che alla radio della Canteen danno Baker Street di Gerry Rafferty, molto sottovoce, ma dentro di me ha fatto centro.
E non me la sono levata più dalla testa.

Allora, Baker Street, che vi invito ad ascoltare (l’ideale sarebbe aprire il video e continuare a leggermi usandola come sottofondo sonoro) 

è più di un trip nel passato per me, è un tuffo all’indietro nelle speranze e nei sogni del mio inizio-adolescenza, di quando ero una specie di start up che muoveva i suoi primi passi nel mondo della comunicazione. Ora, non sto qui a scrivere questo pezzo per fare bilanci, ma per spendere due parole su questo geniaccio di Rafferty da tempo scomparso e non troppo

bellamente, temo.

Erano i tempi che i miei compagni cominciavano a prendere il volo per l’Inghilterra (io San Marino coi miei). Io i Brits non me li filavo proprio; e questa lingua che è poi diventata uno dei miei pochi ma potenti alleati, anche di meno. Io amavo il francese di Paul e Virginie. E non che lo parlassi già a chissà quale livello, ma immaginavo che i due giovani innamorati si sussurrassero parole meravigliose e magiche mentre si rotolavano sulle spiagge immense della Martinica.
Quello per me era l’amore da inseguire; quella la lingua.
Però era anche l’anno di Donna Summer, dei Boney M e della belle Epoque, che ascoltavo e ballavo davanti allo specchio allestendo il mio privato disco-ring. Imitavo la Stefania Rotolo e già ero destinata a non pareggiare mai i futuri bilanci sentimentali (investimenti e ricavi sempre sballati, sigh), e masticavo in playback parole senza senso alcuno.
Ma Baker Street la capivo lo stesso. Altro che se la capivo, perché certa musica arriva al cervello e al cuore saltando i soliti passaggi logico- cognitivi, arriva e basta. Ora che sono grande, e switcho fra due lingue, mi ripasso gli ossi, e assaporo fino all’ultimo brandello di significato.

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